Return to Forests Therapeutic Potential of Woodland Environments

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Ritorno alle foreste Potenziale terapeutico degli ambienti boschivi

E con Piacere che vi mettiamo a disposizione l’importante lettera scientifica che la dott.sa Piras, portavoce del comitato tecnico scientifico della rete TeFFIt-OE responsabile de il Bosco di Puck, ha inviato a VISION FOR SUSTAINABILITY nella quale definisce le fasi delle immersioni in foresta.

Potete trovare l’articolo a questo link : http://dx.doi.org/10.13135/2384-8677/5987

Di seguito il testo, buona lettura!

Gentili Editors,

la rivista Visions for Sustainability ha riservato molta attenzione alla biofilia e al biophilic design. Gli Autori spesso riportano i benefici del contatto con la Natura. Tuttavia, poco spazio è stato dedicato a uno degli ambienti più ancestrali per il nostro rapporto con la Natura: la foresta. I benefici della frequentazione delle foreste sono innegabili (Hansen et al., 2017; Kotte et al., 2019; Stier-Jarmer et al., 2021). Tuttavia, restano aperti

quesiti fondamentali su cosa sia benefico per chi e su quali aspetti della salute psicofisica umana. Di conseguenza, non sono chiare né le caratteristiche da ricercare nelle foreste, né le attività da svolgere in esse per trarne beneficio.

Una corretta prescrizione delle terapie forestali è fondamentale non solo per il paziente ma anche per una coerente gestione delle foreste stesse. Il rischio è di considerare la foresta in modo parziale, riduttivo ed eccessivamente utilitaristico. Per esempio, la sola considerazione degli effetti benefici di alcuni fitoncidi

(Antonelli et al., 2020) non giustifica quelli ottenuti in foreste di latifoglie nella stagione invernale, quando cioè la produzione di fitoncidi è ritenuta irrilevante (Peterfalvi et al., 2021). L’importanza delle caratteristiche di ciascun ecosistema forestale è confermata dai risultati contradditori relativi alle attività proposte. Attività di cui è nota l’efficacia quando sono svolte indoor, come ad esempio l’esercizio fisico, possono generare stress in ambienti forestali complessi (Toda, 2013), mentre sono preferiti in ambienti naturali aperti (Zhang et al., 2015). Tuttavia, le foreste più complesse possono offrire benefici pari o superiori, se vi si svolgono attività adeguate per qualità ed intensità (ad es., Lee et al., 2018). A rendere ancora più difficile una generalizzazione delle indicazioni terapeutiche della foresta, si aggiungono le variabili dei singoli frequentatori: il loro stato di salute, i loro atteggiamenti, le loro conoscenze e predisposizioni e, non ultimo, il livello di “connessione con la Natura” (Berto et al., 2018).

Per valutare il potenziale terapeutico degli ambienti boschivi, la Rete Terapie Forestali in Foreste Italiane (TeFFIt, www.teffit.it) sta sviluppando due piste di ricerca. La prima è volta ad individuare e a descrivere gli ecosistemi forestali con alto grado di biodiversità, che appaiono come i più promettenti sia in relazione alle caratteristiche e necessità umane individuali (Haahtela, 2019) sia alla tipologia di attività proposte (Doimo et al., 2020) La seconda pista di ricerca fa riferimento agli studi trasversali e longitudinali che indicano come la possibilità di trarre beneficio dalle foreste sia in realtà un percorso nel quale il paziente sviluppa (e non “acquisisce”) via via una sempre maggior capacità di relazionarsi con le foreste stesse (Sonntag-Öström,2015). Il paziente impara cioè ad agire nelle foreste nei modi più adeguati alle sue esigenze psicofisiche. Egli ottiene un miglioramento del suo stato di salute e contemporaneamente sviluppa la consapevolezza relativa alle abitudini di vita più salutari per sé e più sostenibili per l’ambiente (Oh, 2020; Clarke, 2021). Tale percorso non è tuttavia lineare, quanto piuttosto un percorso circolare, che si sviluppa secondo tempi e

modi individuali. Per questa ragione, i conduttori delle terapie forestali devono avere la capacità e la sensibilità di adattare le proprie proposte alle caratteristiche ed esigenze del paziente, senza intrusività o forzature. Possiamo descrivere tale percorso in cinque tappe: (1) biofila, (2) sensoriale, (3) aptico/propriocettiva,

(4) adattiva, (5) integrativa. Ogni tappa corrisponde alla stimolazione principale attivata, ricordando però che si tratta di un percorso circolare nel quale ogni fase viene via via riattraversata con le nuove capacità e competenze sviluppate in precedenza.

1. BIOFILA. È stato osservato che persone con scarsa connessione con la Natura non riescono a rigenerarsi in ambienti forestali complessi, nonostante questi risultino quelli maggiormente rigenerativi in assoluto (Berto et al., 2018). Sembra dunque opportuno privilegiare in questa prima fase l’accompagnamento del paziente in ambienti ad alto valore biofilo, ma con percorsi agevoli, rassicuranti, che consentano di approcciare la vita della foresta (che inizialmente viene poco o nulla percepita) in senso positivo. L’attenzione del paziente verrà orientata verso le forme di vita che inducano fascinazione.

2. SENSORIALE. Nei primi approcci alla foresta, sarà opportuno scegliere ambienti la cui biodiversità percepibile sia rappresentata da forme di vita affini (mammiferi, uccelli) e gradevoli e perciò rassicuranti: luoghi di nidificazione di uccelli canterini, aree fiorite o con forme vegetali morbide e aperte, muschi soffici, frutti di bosco gustosi, profumi gradevoli. L’obiettivo è favorire un approccio exotopico1, per accompagnare le persone ad una crescente curiosità, confidenza e meraviglia verso forme di vita sempre più distanti e diverse da quella umana.

3. APTICO-PROPRIOCETTIVA. Il tatto è l’unico senso umano “reciproco”. Tutto ciò che si tocca in una foresta è vivente. A sua volta ogni vivente percepisce il tocco umano. Essere consapevoli di questa “reciprocità” può migliorare il vissuto esperienziale in una foresta. Anche il semplice camminare su suoli naturali diversi può rappresentare sia un’esperienza propriocettivo-cinestesica, sia un’esperienza relazionale, al quale ogni individuo reagisce in modo peculiare. Questa, per esempio, è un’opportunità che non viene offerta quando vengono creati percorsi sensoriali artificiali (Tsunetsugu, 2013, Song et all. 2019, Gross,2019). L’esperienza del contatto con la vita del suolo e del sottosuolo aiuta a sviluppare la consapevolezza della presenza di forme di vita poco percepibili e meno affini all’uomo (artropodi, funghi, protisti). Si impara a reagire correttamente con queste forme viventi e, con il tempo, le modalità di reazione possono evolvere, via via che il paziente prende confidenza con la complessità e la diversità dell’ecosistema forestale.

4. ADATTIVA. Le esperienze biofila, sensoriale e aptico-propriocettiva consentono al paziente di esprimere le proprie capacità adattive. Il paziente esplora l’ambiente (in questo caso la foresta) ricercando stimoli che allievino sintomi e disagi e migliorino le proprie funzioni fisiologiche (Sonntag-Öström et al., 2015), dalla respirazione al movimento. L’esplorazione di sé e dell’ambiente porta a sviluppare la consapevolezza della dinamicità dei processi e rende il paziente capace di adattarsi sia ai cambiamenti della foresta (circadiani, stagionali, di clima, di microambiente) sia ai cambiamenti di sé, via via che si svilupperanno le capacità percettive, la consapevolezza e la connessione con la foresta.

5. INTEGRATIVA. Il paradigma della cura adottato dalla Rete TeFFIt è basato sulla capacità del paziente di percepire ed essere consapevole dei propri bisogni e di come corrispondere loro attraverso la foresta. Al contempo, il paziente avrà compreso (attraverso l’esercizio dell’exotopia 1) i bisogni diversi e spesso misteriosi delle forme di vita che abitano la foresta. In tal modo l’interazione paziente-foresta sarà adattiva e non opportunistica o, al contrario, irrealisticamente affettiva. Ad esempio, il paziente saprà godere dei fitoncidi senza tuttavia ledere volontariamente le piante per percepirne meglio alcuni o ricercarli insistentemente trascurando altri elementi benefici, così come saprà esprimere il proprio desiderio di lasciare traccia di sé nella foresta o di comunicare in qualche modo la sua presenza senza diventare intrusivo o dannoso. In tal modo, il sentimento di affiliazione con la Natura può maturare in una competenza. Il paziente impara ad integrarsi negli ambienti selvatici, mantenendo sempre comportamenti adeguati.

Sebbene la tendenza attuale nelle Terapie Forestali sia di moltiplicare le proposte di attività, persino in singoli interventi (trekking, mindfulness, yoga, esercizio fisico, ecc.) indipendentemente dall’analisi ambientale e delle esigenze individuali, un’impostazione personalizzata della frequentazione forestale sembra un modello preferibile di promozione della salute, in quanto più semplice e applicabile.

Un’impostazione personalizzata richiede solo un minimo supporto iniziale, favorisce i vantaggi della prossimità (Korpela, 2007) ed è più adatto a massimizzare la reciprocità dei benefici per la salute umana e delle foreste.

A conclusione vorrei proporre una riflessione sulla consapevolezza, termine che è centrale nella terapia forestale. È noto che nelle pratiche tradizionali di mindfulness si cerca di prendere atto in maniera non giudicante del momento presente (Kabat-Zinn, 1994). Nelle pratiche di terapie forestali condivise dalla Rete TeFFIt preferiamo parlare di taking notice, prendere nota. Esso va oltre il semplice prendere atto nel momento presente. Il taking notice comporta il conservarne memoria, cioè mantenere una traccia rievocabile nella mente e nel corpo, capace di favorire lo sviluppo dell’adattività dell’organismo e l’integrazione con la foresta. Con il taking notice il paziente può mantenere una delicata attenzione divisa su quanto riesce a percepire della foresta, su come l’organismo reagisce ad essa e su come la foresta reagisce a sé. Quasi un osservare “con la coda dell’occhio”, il cui mantenimento sostenuto nel tempo è facilitato dall’azione rigenerativa della foresta, attraverso la fascinazione (Kaplan, 1995).

Noi della Rete TeFFIt abbiamo osservato che, contrariamente a quanto suggerito nelle pratiche di mindfulness consolidate (Kabat-Zinn, 1990; 1994; Segal et al., 2002), risulta controproducente focalizzare l’attenzione soltanto su una funzione fisiologica, ad esempio il respiro, o su singole parti del corpo. Sembra più efficace osservare quando la stessa funzione o la zona del corpo emergono all’attenzione, stimolate dalla foresta. Parimenti, di eventuali pensieri e sensazioni emergenti si potrà prendere nota, per comprenderne magari più tardi il significato, anziché impegnarsi a lasciarli andare, facilitati dal fatto che tra le azioni della foresta c’è l’interruzione del rimuginare (Chen, 2019) e il favorire invece l’alternarsi tra il vagabondaggio mentale, mind-wandering, orientato internamente e il fascino morbido, fascination, orientato esternamente (Williams et all, 2018). Le qualità desiderabili dell’attenzione, curiosa e non giudicante, e dell’ascolto, attento e decentrato, saranno facilitate sia dall’esercizio dell’exotopia sia dall’azione decentrante della foresta stessa (Chen, 2019; Oh et al., 2020). In altre parole, Il vagare liberamente, mente e corpo, nella foresta “prendendo nota” di ciò che emerge all’attenzione, lungi dall’ostacolare la consapevolezza, potrebbe invece sostenere le persone nello sviluppare una maggior flessibilità e nuove associazioni di idee (Williams et all, 2018), anche per adottare stili di vita più salutari (Oh etal., 2020) e sostenibili (Clarke, 2021). I Mindfulness-Based Interventions (MBIs)2, che spesso sono proposti come esempi di green mindfulness (Danon, 2019), in realtà sembrano avere obiettivi specifici diversi da quelli dell’immersione in foresta. Inoltre, i MBIs hanno anche necessità organizzative, di setting e di privacy poco compatibili e coerenti con la pratica nelle foreste selvatiche (Ambrose-Oji, 2013). Una consapevolezza più informale e aperta sembra meglio indicata per le attività terapeutiche in ambienti naturali (Djernis et al.,2019).

Le terapie forestali stanno suscitando un crescente interesse. Tuttavia, restano aperte molte questioni che richiedono un impegno di ricerca volta prima di tutto a descrivere in maniera accurata gli ambienti dove esse sono praticate. Con un catalogo puntuale delle qualità di ciascun ecosistema forestale la prescrizione terapeutica sarà più precisa, tenendo conto che le osservazioni sinora effettuate suggeriscono che è la stessa foresta a stimolare uno stato di consapevolezza e adattività opportuno e adatto a ciascun paziente (Williams et al, 2018; Oh et al., 2020).

1 L’exotopia è “una tensione dialogica in cui l’empatia gioca un ruolo transitorio e minore, dominata invece dal continuo ricostituire l’altro come portatore di una prospettiva autonoma, altrettanto sensata [leggo “sensata” come “dotata di senso” – che concerne la sensorialità e sensibilità – e contemporaneamente “dotata di significato”, NdA]

della nostra e non riducibile alla nostra” (Sclavi, 2003). L’exotopia potrebbe dimostrarsi adatta anche per prevenire fenomeni di ecoansia (Capaldi et al. 2014; Panu, 2020; Verplanken et al, 2020), conseguenti a forme distorte o semplicemente inesperte di “connessione con la Natura”, così come in ambito clinico, sociale, ed educativo il

passaggio dall’empatia all’exotopia ha consentito un dialogo più costruttivo con l’altro umano, “diverso”, sia esso un malato, un immigrato o un diversamente abile, contribuendo a ridurre il burn out degli operatori (Sclavi, 2003).

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2 risposte

    1. Grazie Daniela, la nostra rete con il proprio CTS sta approfiondendo il ragionamento all’approccio delle diverse fasi, la nostra comunità dei conduttori, nei vari programmi di immersione pratica questo modello. In particolare ora siamo imeganti nella preparazione del congresso sviluppando un confronto anche su queste tematiche
      A presto

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